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«Dopo la rivoluzione non è cambiato nulla in Tunisia»

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Proteste contro il presidente Saied in Tunisia

A quattro mesi dal colpo di mano del 25 luglio del presidente Kais Saied, la Tunisia si trova in un limbo istituzionale con un Parlamento ancora sospeso, un capo dello Stato che governa a suon di decreti e un governo nominato con modalità al di fuori del quadro costituzionale. Gli scontri tra polizia e popolazione locale avvenuti a partire dal 7 novembre nella cittadina di Agareb, a circa 20 chilometri dal polo industriale tunisino di Sfax, a seguito della riapertura di una discarica di rifiuti, e le dimostrazioni del 14 novembre davanti al Parlamento di Tunisi mostrano una tensione latente in un paese bisognoso non tanto di riforme politiche, ma anzitutto economiche.

Il Pil è crollato in Tunisia

Nel 2020 il Pil è crollato dell’8,6 per cento rispetto al 2019, il deficit si è allargato al 10,2 per cento e il debito pubblico ha raggiunto l’87,6 per cento del Pil, mentre il tasso di disoccupazione ha toccato nel secondo trimestre 2021 il 17,9 per cento. Neanche la politica muscolare di Saied ha le forze, la visione o la volontà di comprendere le reali problematiche del paese, in particolare lo strapotere dei sindacati e del settore pubblico che da anni impediscono qualsiasi tipo di riforma. «La situazione che vediamo ora è malsana, una situazione che non può durare. La dittatura non può durare, il populismo non può durare, le condizioni disperate non possono durare», dichiara a Tempi Olfa Hamdi, fondatrice e ad di Concord Project Technologies, società con sede a Palo Alto (Usa) ed ex amministratore delegato della compagnia di bandiera tunisina Tunisair.

Nell’intervista, la giovane manager originaria di Gafsa, città nel sud-ovest della Tunisia, racconta quelli che a suo avviso rappresentano i problemi mai affrontati dalla politica e che impediscono alla Tunisia di uscire da uno stallo che dura di fatto dal 2011. Le richieste della piazza e dei giovani restano quelle di dieci anni fa: lavoro, dignità e libertà.

«Saied ha sfruttato la corruzione del governo»

Secondo Olfa Hamdi è necessario distinguere quanto accaduto il 25 luglio scorso, quando il presidente Saied ha licenziato il governo di Hichem Mechichi e sospeso il Parlamento, da ciò che è avvenuto successivamente con i decreti del 22 settembre che hanno esteso i poteri presidenziali. «Dall’inizio dell’anno al 25 luglio abbiamo avuto forse il più impopolare governo della storia post-rivoluzionaria della Tunisia», afferma Hamdi. «Il governo Mechichi era impopolare e fallimentare nel gestire la pandemia di Covid-19 e fortemente corrotto. Così non si poteva andare avanti».

Ad aggravare la situazione ci sono state una serie di inefficienze e scandali che hanno caratterizzato la campagna vaccinale. «Il parlamento non ha agito in alcun modo», sottolinea Hamdi, aggiungendo che i politici avrebbero dovuto chiedere le dimissioni dell’esecutivo e non rinnovare la fiducia. Senza un’azione della Camera dei rappresentanti la decisione è giunta direttamente dal presidente. «Saied ha sfruttato la situazione di un governo fortemente corrotto. Anch’io cercai di riformare Tunisair, facendo un piano di ristrutturazione, ma il governo non lo volle».

La sfida della Tunisia è economica

Se la decisione di licenziare il governo era da un lato giusta, dall’altro le decisioni prese negli ultimi mesi, quando il presidente ha assunto i poteri legislativo e giudiziario, hanno portato il paese lontano dalla democrazia. «Abbiamo assistito al tentativo del presidente di controllare il sistema giudiziario, che è un organismo indipendente, ma guardiamo anche ai cambiamenti in politica estera, con l’ascesa di un’agenda nazionalista e populista che ha colpito le nostre relazioni con l’Ue e gli altri partner tradizionali», ricorda Hamdi, aggiungendo: «Penso che la perdita di democrazia sia un male per la Tunisia».

Cercando di ingraziarsi le cancellerie europee, con un’abile mossa, lo scorso 11 ottobre Saied ha nominato premier Najla Bouden, prima donna nella storia del paese e in generale del mondo arabo a ricoprire l’incarico di capo del governo. Per Olfa Hamdi, la sua nomina è simbolica, considerato che la premier non ha ricevuto la fiducia del Parlamento, in quanto l’organismo è congelato dal 25 luglio scorso. «Quello di cui noi tunisini siamo realmente preoccupati è il ruolo della Bouden in questo momento specifico», ammette la giovane manager, ricordando come vi siano molti punti domanda sulla roadmap del governo nell’affrontare la grande sfida della Tunisia: l’economia. «Ci sono due principali sfide: chiarire il suo ruolo e il ruolo del suo governo nel riportare la democrazia in Tunisia e far tornare lo Stato di diritto, perché questo governo non ha il voto del Parlamento ed è considerato un governo “eccezionale” perché nominato con misure eccezionali. Giurare sulla Costituzione è parte della Costituzione stessa», sottolinea Hamdi.

«Non è cambiato niente dalla rivoluzione»

L’ex ad di Tunisair spiega poi che «in Tunisia uno dei maggiori problemi è il ruolo malsano dei sindacati, che controllano il settore pubblico e sono contrari alle riforme». Il riferimento è allo strapotere dell’Unione generale del lavoro tunisina (Ugtt), che in questi anni ha avuto un ruolo decisivo nella politica e che sta giocando una partita di sostegno a Saied, appoggiando la sua visione populista e nazionalista.

A ormai dieci dalla cosiddetta Rivoluzione dei gelsomini tunisina, che diede il via alle primavere arabe, per Hamdi poco o nulla è cambiato. «Dobbiamo tornare agli slogan originari della rivoluzione del 2011: lavoro, libertà, dignità. I giovani in strada chiedevano questo. Non è cambiato nulla, sono gli stessi slogan oggi rispetto a quelli di dieci anni fa. La disoccupazione in Tunisia resta una questione seria perché tra i giovani istruiti è sopra il 30 per cento. Questa situazione non può essere risolta se non si ha una crescita economica. Senza crescita del Pil non è possibile creare nuovi posti di lavoro. I problemi restano quindi gli stessi del 2011».

L’inefficienza del settore pubblico

Secondo Hamdi il problema principale della Tunisia non è politico, come ritiene larga parte della popolazione che appoggia Saied, ma economico: «Vi è necessità di riforme politiche per generare la crescita, e questo indipendentemente dal sistema politico. Se hai crescita economica hai lavoro, opportunità per i giovani di realizzare loro stessi. Altrimenti i giovani emigrano in Europa». Per la giovane manager, le misure intraprese dal presidente contro oppositori e giornalisti colpiscono la libertà di pensiero e al momento non è ancora chiaro quando ritornerà la democrazia. «Le domande restano lavoro, libertà, dignità. Se non puoi dare lavoro, non puoi dare libertà e così si apre la strada ad una grave instabilità all’interno del paese».

Per sostenere la risposta politica del governo all’inizio della pandemia, il Fondo monetario internazionale (Fmi) nell’aprile 2020 ha approvato 750 milioni di dollari di finanziamenti di emergenza che si sono aggiunti a 2,9 miliardi erogati nel 2016. Secondo Hamdi, i governi degli ultimi dieci anni sono stati frutto di coalizioni che non hanno mai tradotto il capitale politico in serie riforme economiche, rendendo di fatto vani i benefici dei finanziamenti internazionali: «Bisogna riformare il settore pubblico, che è inefficiente».

Guardando al futuro e ai milioni di giovani tunisini (il 51 per cento della popolazione è sotto i 30 anni) che ormai vedono nella migrazione all’estero l’unica speranza, Olfa Hamdi sottolinea come sia necessario «continuare a credere alla Tunisia come a una democrazia e come a un paese che può diventare prospero»:. «Il dieci per cento dei tunisini vive fuori dal paese», conclude. «Noi però dobbiamo continuare a credere che questo cambiamento sia possibile. La situazione che vediamo ora è malsana. Una situazione che non può durare. La dittatura non può durare, il populismo non può durare, le condizioni disperate non possono durare. Il paese deve essere una democrazia prospera e con solide relazioni con i paesi mediterranei, in particolare Italia e Francia. Questa è l’unica via per rendere la Tunisia una formula di successo per la regione».

Foto Ansa


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